- Quesito
- A seguito della notevole risonanza che ha avuto sui vari mezzi di informazione la questione concernente il calcolo della parte variabile della tassa sui rifiuti (Tari), relativa alle utenze domestiche, si chiedono chiarimenti in ordine alle eventuali richieste di rimborso da parte dei contribuenti.
- Risposta
- Laddove il contribuente riscontri un errato computo della parte variabile effettuato dal Comune o dal soggetto gestore del servizio rifiuti, lo stesso può richiedere il rimborso del relativo importo, solo relativamente alle annualità a partire dal 2014, anno in cui la Tari è stata istituita dall’art. 1, c. 639 della legge 27.12.2013, n. 147, quale componente dell’imposta unica comunale (Iuc) posta a carico dell'utilizzatore per finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti.
- Non è possibile, quindi, chiedere il rimborso relativamente alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (Tarsu), governata da regole diverse da quelle della Tari, che non prevedevano, tranne in casi isolati, la ripartizione della stessa in quota fissa e variabile.
- Né si può procedere alla richiesta di rimborso laddove i Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico, hanno introdotto, in luogo della Tari, una tariffa avente natura corrispettiva, in applicazione del c. 668 dell’art. 1 della citata legge n. 147/2013.
- Per quanto riguarda, in particolare, l’istanza di rimborso, si fa presente che la stessa deve essere proposta, a norma dell’art. 1, c. 164 della legge 27.12.2006, n. 296, entro il termine di 5 anni dal giorno del versamento. L’istanza, che non richiede particolari formalità, deve però contenere tutti i dati necessari a identificare il contribuente, l’importo versato e quello di cui si chiede il rimborso, nonché i dati identificativi della pertinenza che è stata computata erroneamente nel calcolo della Tari.
- Dispone in tal senso la circolare 20.11.2017, n. 1/DF.
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